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Storie di vita: gli ospiti dei centri diurni si raccontano

Ci sono imprenditori, cantanti, commercianti, parrucchiere e casalinghe. Chi ha girato il mondo e chi, invece, non si è mai allontanato da casa. Storie di vita strappate all’oblio del tempo, messe nero su bianco in oltre cento pagine dallo scrittore Guido Conti, che le ha raccolte con cura e affidate all’imperitura memoria collettiva in un libro unico, come il nome della protagonista che gli ha dato il titolo: “Io mi chiamo Eleda e il mio nome non ce l’ha nessuno”.
 

Un libro particolare, diverso da tutti gli altri, perché le voci narranti sono quelle dei “nonni” e delle “nonne” dei centri diurni di Azienda Pedemontana Sociale di Collecchio, Montechiarugolo e Traversetolo, presentato nei giorni scorsi nella Sala consiglio della Corte Agresti a Traversetolo. Voci che si fanno volti, con le foto in bianco e nero dei narratori e delle narratrici che con i loro occhi esprimono un racconto nel racconto: quello della dignità della vecchiaia. “Io mi chiamo Eleda e il mio nome non ce l’ha nessuno”, edito da “Libreria Ticinum”,  è un’occasione, un tempo e uno spazio per tornare a casa, per rompere la routine dei centri diurni, allo stesso tempo ripetitiva ma protettiva. Un momento di festa attraverso una forma di socialità che si fa testimonianza, memoria e storia di una comunità. 
 

Alla presentazione non potevano mancare i protagonisti, accompagnati dalle operatrici dei centri diurni, accolti dal sindaco di Traversetolo, Simone Dall’Orto, dal primo cittadino di Sala Baganza e presidente di Pedemontana Sociale, Aldo Spina, e dai sindaci di Collecchio, Maristella Galli, e di Montechiarugolo, Daniele Friggeri. Insieme a loro, gli assessori al welfare Nelda Conti (Traversetolo), Anna Gherardi (Collecchio), Francesca Tonelli (Montechiarugolo) e Giuliana Saccani (Sala Baganza), il direttore generale e il responsabile dell’Area Anziani, Adulti e Disabili di Pedemontana Sociale, Adriano Temporini ed Emiliano Pavarani. 


«Ve lo confesso: sono emozionato, perché sfogliando il libro mi sono commosso – ha detto Dall’Orto dando il benvenuto –. Già l’affermazione contenuta nel titolo, “Io mi chiamo Eleda e il mio nome  non ce l’ha nessuno”, ci restituisce una fierezza di sé che non viene meno neanche con il trascorrere del tempo e con le difficoltà che porta con sé. La dignità rimane intatta. E come tale va rispettata, sempre. Sono grato alle operatrici, così come, naturalmente, a Temporini e Pavarani: a loro si deve la bella e lungimirante intuizione di affidare a Guido Conti questo lavoro di “fissare” le memorie degli ospiti delle strutture e, in questo modo, di conoscerli di più. Per riaffermare che gli anziani e le anziane che si affidano ai servizi non sono solo nomi o, peggio, numeri, ma universi di vicende, pensieri, sentimenti, gioie e dolori che meritano di essere ascoltati e di non essere dimenticati, perché sono di insegnamento per tutte e tutti noi».


«Nei vostri racconti ci ricordate costantemente valori come libertà, famiglia. E quante volte sono emerse le parole “lavorare sodo”, per cercare di garantire una vita migliore per voi e per i vostri cari – ha affermato Spina rivolgendosi alla platea –. Questi valori sono fondamentali e sono quelli che caratterizzano esattamente le nostre comunità, come la abbiamo ereditate, come le stiamo vivendo e come cerchiamo di traghettarle nel futuro. Il gesto che avete fatto, anche se riguarda le vostre storie, è in realtà un gesto pieno di futuro, ricco di prospettiva. Questa esperienza mi rende orgoglioso di essere cittadino di questa terra».


«Quest’opera è un lavoro rilevante per il nostro servizio sociale – ha sottolineato il direttore generale di Azienda Pedemontana sociale Adriano Temporini – perché rappresenta plasticamente il nostro “stare” professionale, nell’oscillazione tra la cura personalizzata, la protezione, il rispetto delle unicità e la necessità di provare a costruire una lingua comune. Ed è sui modi in cui avviene la traduzione di differenti esperienze in una “lingua comune” che abbiamo cercato, e stiamo cercando, di misurare la qualità dei nostri servizi sociali. “Io mi chiamo Eleda e il mio nome non ce l’ha nessuno” è parte fondante del nostro lavoro sociale quotidiano, è la responsabilità di custodire e avere cura di chi affida la propria storia nelle nostre mani».


«Il modello utilizzato è quello del racconto biografico di Zavattini – ha spiegato Guido Conti –.  Sono gli anziani a narrare in prima persona le loro vite, alcune delle quali veramente incredibili, con il loro linguaggio. Anziani che, quando mi sono presentato a loro spiegando il progetto, sono rimasti stupiti. Perché i vecchi si stupiscono se tu ti occupi di loro, della loro vita, se li ascolti, se gli chiedi quando sono nati, quanti fratelli avevano, se hanno studiato, come hanno conosciuto il loro marito o la moglie. “Ma perché vuoi sapere tutte queste cose?”, mi hanno chiesto. E io gli ho risposto “perché la vostra vita è stata importante! E va salvata!”».


L’assessore alle Politiche sociali di Traversetolo, Nelda Conti, ha sottolineato come durante le sue visite al centro diurno abbia potuto apprezzare «la cura e l’amore che le operatrici rivolgono ai nostri anziani». E proprio le operatrici, ringraziate a più riprese, sono state fondamentali nell’affiancare gli ospiti nel loro “raccontare”. La mattinata si è conclusa con le testimonianze di alcuni “autori” del libro, prezioso scrigno di valori e ricordi.


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